Disturbi dello Spettro Autistico: cosa funziona e per chi? - Fondazione Mariani
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Disturbi dello Spettro Autistico: cosa funziona e per chi?

Il dott. Antonio Narzisi dell’IRCCS Fondazione Stella Maris di Pisa risponderà a questa domanda con la sua relazione “Intervento basato sulla ricerca nei Disturbi dello Spettro Autistico oltre i modelli tradizionali e le misure di esito” in programma al nostro Corso sui Disturbi del neurosviluppo, che si terrà in modalità FAD sincrona nei giorni 18, 19 e 26 ottobre. Presentiamo in anteprima l’abstract di questa relazione.

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La crescente prevalenza dei disturbi dello spettro autistico (ASD) ha portato a un rapido aumento della necessità di interventi efficaci. Sono stati sviluppati diversi criteri e misure per valutare criticamente questi interventi, con particolare attenzione alla valutazione dell’efficacia. Data l’enorme diversità dei sintomi dell’ASD e i diversi livelli di gravità tra gli individui, l’identificazione di un approccio d’intervento unico è difficile e la domanda “Cosa funziona e per chi?” rimane ancora senza risposta. Perché sembra che ci stiamo trascinando su questo tema fondamentale? L’obiettivo principale di questo articolo è rispondere a questa domanda attraverso quattro punti non alternativi.

In primo luogo, esiste uno scarso numero di studi con una metodologia solida. In secondo luogo, la maggior parte degli studi sull’efficacia degli interventi per l’ASD sono progettati esclusivamente in termini di risultati comportamentali. In terzo luogo, vi è un uso ridotto di misure di esito orientate biologicamente. In quarto luogo, nella maggior parte degli studi clinici non vengono applicate sistematicamente le pratiche appropriate che emergono dalle evidenze della ricerca.

Un forte sforzo per migliorare la metodologia degli studi clinici è obbligatorio per il futuro della ricerca sull’autismo. Lo sviluppo di una prospettiva di intervento basata sulla ricerca (RBI) volta a integrare meglio: (a) approcci basati sull’evidenza; (b) misure di esito comportamentale più sensibili; e (c) biomarcatori, con l’obiettivo di aumentare un raggruppamento più dettagliato dei fenotipi, può migliorare notevolmente il nostro approccio a una medicina di precisione.

Antonio Narzisi
UOC Psichiatria e Psicofarmacologia dello Sviluppo
IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

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