Sono state più di 80 le famiglie coinvolte nello studio italiano, conclusosi di recente, sulla Disprassia Verbale Evolutiva (DVE). Si tratta di un disordine congenito del neurosviluppo che interessa programmazione, pianificazione e controllo dei movimenti necessari per produrre sillabe, parole e frasi. Poco indagato, spesso grave e resistente al trattamento, la DVE è un disturbo di cui tuttora restano scarsamente definiti l’eziologia e i correlati neurobiologici e che quindi non sempre viene diagnosticato in modo corretto.
Coordinato dall’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa) e finanziato dal Ministero della Salute e dalla Regione Toscana lo studio, che è durato 4 anni, aggiunge un altro utile tassello per la conoscenza di tale disordine. Si proponeva di stabilire criteri diagnostici ed elaborare protocolli di valutazione specifici per bambini italiani. Inoltre, intendeva indagare le cause della DVE, sia per quanto riguarda i correlati neuroradiologici sia quelli genetici, e puntava a individuare alcuni fattori prognostici, essenziali per la diagnosi precoce e l’avvio tempestivo di una terapia appropriata per i bambini che soffrono di questo disturbo.
La dott.ssa Anna Chilosi, responsabile scientifico della ricerca, commenta così i risultati: «La DVE è una condizione che può essere associata ad altri disturbi complessi del neurosviluppo e, pertanto, necessita di un approccio diagnostico multidimensionale e di una gestione multidisciplinare. Anche nel caso di DVE clinicamente isolata si riscontra, in quasi tutti i casi, oltre al disturbo motorio dello speech un disturbo del linguaggio. La presenza di una concomitante compromissione del linguaggio ha importanti implicazioni per la cura e il trattamento precoci, poiché i sintomi legati alla compromissione motoria di base e gli obiettivi linguistici devono essere affrontati in modo integrato.
Per quanto riguarda i correlati neurobiologici si è evidenziata l’importanza di fattori di rischi genetico, sebbene si riscontri una eterogeneità di geni coinvolti nel disturbo. Le analisi neuroradiologiche hanno messo in evidenza alterazioni specifiche sia di tipo volumetrico, di spessore della corteccia cerebrale, che di diffusività in aree legate al circuito della produzione del linguaggio nei bambini con disprassia verbale rispetto a un gruppo di controllo di bambini con sviluppo tipico. Dopo 6-8 mesi di trattamento logopedico si è riscontrata una modificazione dello spessore corticale in alcune di queste aree, indicativa di una neuroplasticità indotta dal trattamento».
Si ringrazia per il commento la dr.ssa Anna Chilosi dell’IRCCS Fondazione Stella Maris.